
Non è una bufala, è tutto vero: la Nasa ha assoldato nella sua particolare “equipe” centinaia di calamari che ora si trovano nello spazio.
Come spesso accade, dietro alla “bizzarra notizia” ci sono ragioni da ricollegare ad approfonditissimi studi scientifici che potrebbero dare le risposte che cercano i ricercatori e che potrebbero essere, in futuro, essenziali per la prevenzione della salute umana in termini aerospaziali.
Lo studio sui calamari potrebbe salvaguardare la salute degli astronauti
Sull’idea di una ricercatrice, Jamie Foster, la Nasa ha così dato il via libera al rilascio nello Spazio di ben 128 piccoli di calamaro hawaiano, allevati nel Kewalo Marine Laboratory dell’Università delle Hawaii. Non si tratta di comuni calamari che siamo soliti immaginarci ma di una particolare specie caratterizzata dalla capacità di illuminarsi al buio, una luminescenza che risente del rapporto simbiotico che hanno proprio con i batteri. La ragione dello studio? L’ha perfettamente spiegata una professoressa dell’Università delle Hawai, come riporta Ansa: “Abbiamo scoperto che la simbiosi degli esseri umani con i loro microbi nella microgravità viene disturbata, e Jamie Foster ha dimostrato che questo è vero anche nei calamari“.
Un calamaro in difesa del sistema immunitario umano
Data la similarità e il dato alla base relativo al sistema immunitario degli astronauti che si altererebbe dopo un tot di tempo trascorso nello Spazio, quello che potrebbe essere evidenziato nei calamaretti potrebbe essere molto utile per comprendere cosa accade nell’uomo. La risposta alle domande della Nasa in ragione di prevenzione e tutela della salute degli astronauti potrebbe dunque essere nei corpi di questi piccoli di calamaro che, lanciati all’inizio del mese di giugno, torneranno sulla terra verso la fine di luglio. Lo studio che vede sotto la lente d’ingrandimento il rapporto tra gli esseri viventi e i microbi è portato avanti da un più vasto e importante progetto della Nasa di nome UMAMI, Undestanding of Microgravity on Animal-Microbe Interactions. Che il rapporto tra esseri umani e i propri microbi in assenza di gravità per lunghi periodi cambi è il punto di partenza, che questo possa essere studiato e tutelato grazie a dei calamari potrebbe essere il punto d’arrivo.