
Mio padre era irresponsabile, lo vedevo come tuti i ragazzi un mito: era grande e grosso, un bell’uomo, e io lo stimavo profondamente. Parlava poco – al contrario di mia madre che parlava tantissimo – guidava la moto, guidava la macchina, e poi non mi sgridava mai, se non quando mia madre glielo imponeva. Lui lavorava tanto e il rapporto con lui era facile, scorrevole perché in discesa: raramente mi picchiava, solo se era mia madre a chiedergli di farlo.
Ha iniziato la sua carriera alla Davit Cioccolato di Torino, impresa storica nata nel 1900. Nel tempo si è sempre più qualificato tanto da divenire molto ricercato tra le altre industrie dolciarie. Per me figura assente, chi ne faceva le veci era appunto mia madre: era da lei che prendevo le “cinghiate”. Comunque lo idolatravo, come naturale per ogni ragazzo con suo padre, almeno fino a quando ha esagerato e ferito mia madre nei sentimenti.
Quando fui mandato in collegio, la scelta fu di mia madre, che prese in mano la situazione così da poter seguire mio padre che aveva intorno moltissime donne. Tempo addietro infatti, si era fidanzato in casa con una ragazza: le comprò l’anello ed andò a presentarsi dai genitori, dicendo di avere intenzioni serie con la figlia. Scoperto tutto, mia madre andò a chiarire la situazione con i genitori di questa ragazza, e si assunse le spese del gioielliere per ripagare l’anello acquistato da mio padre. Una vera e propria sagoma, esempio perfetto di quella famiglia dispersa di cui ti ho parlato prima.
A livello personale, non abbiamo avuto momenti in cui eravamo io e lui. Ai tempi però, mia madre non seguiva troppo la televisione e così qualche volta mi fermavo davanti alla tv – lui seduto su una sedia sdraio e io su una sedia – per guardare insieme dei film musicali con Fred Astair, in cui il riscatto sociale era il tema portante. Ho provato poi a rivedere in streaming questo tipo di pellicole, ma non li ho più ritrovati purtroppo. Qualche volta quindi mi fermavo con lui durante le vacanze dai salesiani ma non ho memoria di altri momenti…
…anzi si! Una volta mi portò alle giostre, ma perché lui per primo si divertiva a salire sulle attrazioni!
Si trasferì poi in Colombia quando feci diciotto anni: nelle sue intenzioni voleva fare un salto di qualità e guadagnare più soldi per aiutarmi. Andò così in Colombia a lavorare, ma in Sud America l’ebbe vinta il suo animo irrequieto: si fidanzò con una colombiana e finì per non mandarci più soldi, scaricando su mia madre la responsabilità di mandar avanti la famiglia.
Irresponsabile e infantile, l’ultima immagine che posso darti di mio padre è relativa a Topolino. Quell’uomo, all’età di settant’anni, leggeva ancora i fumetti targati Disney, restando fedele a sé stesso fino alla fine.

Conclusione
Io penso di assomigliare molto più a mia madre che a mio padre: sono molto preciso, ho degli orari per mangiare, non vado a far la spesa al supermercato, perdendo così le mattinate per comprare le cose in posti diversi, non sono mai contento.