
La vita in camper l’ho scelta per due motivi: il primo è perché ovviamente, posso viaggiare; il secondo perché di fondo non concepisco l’idea di non fare niente ed è stata una consapevolezza di cui mi sono reso conto molto dopo perché al principio è stata una scelta istintiva.
Come persona non concepisco l’idea di smettere di lavorare o l’idea di rassegnarmi al fatto che non posso lavorare a vita e il camper è stato l’antidoto a tutto questo. Il camper è un lavoro continuo: ha numerose necessità che vanno dallo scaricare l’acqua al fare benzina, ha bene o male sempre qualche piccolo acciacco che sia una volta l’aria condizionata o il frigo che non funziona; poi bisogna fare la spesa e il 20% delle volte che mi dimentico il sale non posso spostare il camper intero e andarlo a prendere, a volte significa lasciarlo e camminare magari anche per mezz’ora e solo per il sale. Il camper è costante attività, ti obbliga a stare in movimento, ti costringe a pensare e anche ad escogitare piani per soddisfare l’esigenza di andare fuori da quei 7 metri in cui hai tutto, dal cruscotto al letto. Quando penso che avrei potuto comprare una casa è come se mi vedessi: esco di casa, prendo il giornale, vado al bar, leggo, torno a casa… e poi? In camper faccio anche 100 km al giorno, mangio, esco, vedo posti differenti e provo delle sensazioni che nessun hotel a 5 stelle mi avrebbe mai dato.
E’ vero che ogni tanto l’avere costantemente un problema da risolvere mi da fastidio, ma solo sul momento perché in realtà sono contento, mi fa bene, mi obbliga a essere attivo. Quanto alla scomodità, è come se facesse parte del mio vivere: non mi piace essere troppo comodo e la scomodità mi forza a valutare dei cambiamenti, a migliorare e tutti quei disagi che crea per me sono ricchezza, li vivo come un’opportunità. Se ci sono fastidi c’è una possibilità, se non ci sono fastidi sei morto. E poi, fallo fare un viaggio in camper o in barca ad una coppia e vedi se resiste: vivere così vicini non è facile ed è un continuo mettersi alla prova.