
Dopo la prima operazione, arrivano le prime dolorose medicazioni perché la ferita faceva fatica a rimarginarsi, in quanto il chirurgo che mi operò aveva lasciato l’osso del braccio il più lungo possibile per agevolarmi nelle mansioni quotidiane.
Il trasferimento al Cto, l’operazione, il moncone
Per questo, le medicazioni furono estremamente dolorose, toccavano l’osso vivo. Per mesi feci avanti e indietro dal Cto fin quando decisero di operarmi una seconda volta con una particolare tecnica di innesto.
Mi crearono una tasca nella pancia, dove oggi ho una importante cicatrice, dove misero il moncone formando un tutt’uno. Non ricordo quanto tempo sono stato così vincolato, dopo alcuni mesi plasmarono parte di quella tasca sul moncone per far chiudere la ferita.

Ero diventato una persona invalida
Intanto sollevai l’impresa da ogni genere di responsabilità, era il mio stile, la mia attitudine: il datore di lavoro per me era sacro, lui non centrava nulla. Ero io che avevo sbagliato. La macchina era a norma per quel tempo, ma ovviamente se ci fossero state le barriere come per le legge è previsto oggi, non avrei avuto alcun incidente.
Anche in quel momento però, il mio solo intento era mettermi in discussione non solo dal punto di vista professionale ma soprattutto come persona che da quel giorno in poi, è diventata invalida al 70%. E non è bello pensare di essere un invalido. Immerso in una situazione diventata via via sempre più economica per via delle trattative sulla pensione e sul risarcimento, io volevo porre l’accento sulla mia nuova condizione permanente di vita con una grande invalidità. Volevo lasciare un bel ricordo a quell’impresa, non volevo strascichi, non volevo nulla: volevo solamente, anche in quel momento, fare bella figura, essere onesto.
Dalla revisione della patente a tutte le attività quotidiane come mangiare, guidare, prendere il pullman e altro, avevo a che fare con una nuova realtà. Anche nel confronto con gli amici e le ragazze mi sentivo diverso. Quest’ultimo si ho dovuto superarlo: le ragazze.
Mi sentivo a disagio e non all’altezza, ma mi sbagliavo: per loro non ero un invalido, tenevano in conto altre cose come magari la personalità, il mio modo di fare, le mie qualità.